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Latronico


IL TERRITORIO

Ai piedi di una delle più imponenti montagne dell’Appennino Meridionale, il monte Alpi, all’ingresso della Valle del Sinni, a quasi 900 m s.l.m. sorge Latronico.

Si tratta di un piccolo paesino che si estende a macchia d’olio diradandosi man mano che si scende verso  la parte bassa del rilievo su cui nasce.

Conosciuto come una sorta di “paradiso del benessere”, Latronico è noto per la presenza di un elevato numero di sorgenti di acqua termale.

Attraversato da vicoli caratteristici e circondato da panorami mozzafiato offerti dal Parco Nazionale del Pollino, il comune è reso ancor più suggestivo dalla presenza di calanchi che attorniano il centro storico, situato sulla parte alta del paese e denominato Capadavutu, al quale si oppone la parte bassa che prende invece il nome di Capabbasciu.

LE ORIGINI

Diverse sono le teorie sull’etimologia del nome. Secondo alcuni studiosi il nome “Latronico” sarebbe di derivazione greca col significato di “luogo nascosto“, mentre secondo altri la derivazione greca avrebbe come base la parola “Latomia“, cava di pietre.

Quanto invece alle origini del centro abitato, risalgono al Mesolitico, ossia all’8000 a.C., le tracce dei primi insediamenti nel territorio di Latronico, esattamente nella zona di Calda, dove piccoli gruppi di uomini avrebbero vissuto per oltre 6000 anni basando la propria sopravvivenza su attività di natura agricolo-pastorale.

Il primo nucleo abitativo vero e proprio risale dunque all’Alto Medioevo, ai tempi in cui le popolazioni si stabilivano nei punti alti dei colli per sfuggire alle scorribande di Saraceni e Longobardi.

Restano ignote le vicende storiche del paese fino al 1063, anno in cui comparve per la prima volta il nome di Latronico in un documento scritto.

Latronico fu feudo di Cola di Jonata, dei Sanseverino, dei Palmieri, dei Corcione e infine dei Gesuiti, passando poi al Demanio.

Fu sotto il regime fascista che l’area cominciò ad essere sfruttata per le tante sorgenti solfo-magnesiache che la caratterizzano, al punto da vedere la nascita di uno degli stabilimenti termali più all’avanguardia del periodo.

IL PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE

Determinante la posizione del paese nella definizione delle tradizioni e della cultura.

La presenza nella roccia del monte Alpi di ricchi giacimenti di pirite, marmo, talco, quarzo e alabastro bianco  ha infatti dato vita nel tempo a un artigianato della pietra grigia molto particolare e raffinato che ha arricchito negli anni le strade del paese con la produzione di portali, statue, acquasantiere e altari.

L’attrattiva più grande è rappresentata ovviamente dal parco termale sito in località Calda, accanto al quale spicca il percorso di arte contemporanea creato dall’installazione di diverse opere d’arte nel tessuto urbano. Tra queste risalta “Earth Cinema”, l’opera  di Anish Kapoor, artista internazionale che all’interno del progetto “Arte Pollino” ha realizzato nell’area termale un vero e proprio taglio scavato nella terra. Una feritoia di 45 metri attraversabile da entrambi i lati, nella quale lo spettatore osservando il paesaggio circostante riesce a fondersi in esso e a sentirsi parte integrante di quella natura.

L’ENOGASTRONOMIA

Simbolo della gastronomia latronichese è il cosiddetto “biscotto a otto”, un tarallo salato la cui forma ricorda il numero 8 e la cui ricetta risale all’antica tradizione del posto. Realizzato con farina di “carosella”, una varietà di frumento tenero del luogo, il biscotto è reso ancor più speciale da un’attenta lavorazione che prevede la doppia cottura, prima in acqua poi in forno, con ingredienti privi di grassi. Accompagnato da salumi, formaggi, miele e un buon vino rosso, il tarallo a otto  dà il meglio di sè risultando di solito particolarmente gradito.

Ma fermiamoci a pranzo. Protagonista di questa tavola lucana è ancora una volta la pasta casereccia condita con i prodotti del territorio. In prima fila troviamo le lasagnette con funghi porcini, dette  “Tapparedde cch’i lardari”,  i fusilli con salsiccione e cotica, gli gnocchi a tre dita del lavoratore, noti come “Rascatieddi du’ gualano“, i fusilli con la mollica di pane, i tagliolini con fagioli e peperoni macinati, lagane e ceci, zuppa di cotica e fagioli, e infine i classici ravioli ripieni con ricotta di pecora.

Primeggiano tra i secondi piatti, invece, il baccalà coi peperoni cruschi, il capretto fritto in padella e diversi tipi di carne cotta alla brace o al forno tra cui:  l’agnello con patate e cipolline, la costata di castrato arrosto, il pollo arrostito, gli gliummarieddi, ossia budelline di agnello avvolte ‘a gomitolo’, e la pastorale, o meglio carne di pecora cucinata secondo un’antica tradizione pastorale.

Non possono mancare insaccati, latticini, formaggi e funghi, con l’aggiunta di selvaggina quale cinghiale e lepre.

Tra i dessert suscita curiosità il sanguinaccio, un dolce realizzato con sangue di maiale, riso, uva passa e cioccolato,  accanto al quale troviamo il “purciddatu“, un dolce prettamente pasquale, e i “cannariculi”, dolcetti di pasta fritta tipicamente carnevaleschi.